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JUNIO VALERIO BORGHESE E I CONFINI ORIENTALI

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Alfonso Indelicato
CAT_IMG Posted on 21/1/2012, 14:49




maiale
Chi era stato a prendere i contatti col Borghese per coinvolgerlo in quello che lo stesso principe chiamava, stando alle testimonianze, “piano De Courten”?
Mi pare che su questo punto non vi siano certezze: le fonti citano diversi nomi, ma a titolo di ipotesi più o meno fondata.
E’ possibile che una parte importante l’abbia avuta Giuseppe Cigala-Fulgosi, ufficiale di marina che si era distinto in memorabili battaglie contro gli inglesi, e che aveva avuto il padre fucilato dalle SS a Spalato, per essersi loro opposto in armi dopo l’8 settembre.
In effetti il Cigala-Fulgosi aveva due requisiti fondamentali per meritare la fiducia di Borghese: l’altissimo valore militare e le ottime ragioni per avercela con i tedeschi, con i quali notoriamente il capo della Decima intratteneva rapporti di pace armata e reciproco sospetto. Non fu lui, materialmente, a parlare col principe, ma è possibile che gli abbia indirizzato un suo fiduciario. Sia Borghese che Cigala-Fulgosi, per inciso, facevano parte del ristrettissimo club dei militari insigniti in vita della medaglia d’oro al valore: questo li affratellava, collocandoli in una aristocrazia guerriera che verosimilmente essi consideravano al di sopra delle fazioni politiche.
Non si sa quanto Borghese credesse davvero nel “piano De Courten”. E’ probabile che lo abbia considerato una via percorribile, da tenere aperta e di cui verificare, nel tempo, la pervietà.

Fatto sta che a un certo punto (verso settembre-ottobre del ’44) il piano abortì prima di essere giunto alla seconda fase, quella della pianificazione operativa. Rimase dunque, per quello che ne sappiamo, alla definizione delle linee generali dell’azione e dei sondaggi dei possibili protagonisti.
Possiamo interrogarci sui motivi che portarono ad abbandonare il progetto, ma non possiamo andare più in là di congetture, per quanto verosimili esse siano.
Può essere che abbiano prevalso i timori circa la segretezza del piano. A questo proposito bisogna ammettere, prima di tutto, che noi italiani non godevamo di molto credito quanto a capacità di mantenere il segreto. Basti accennare in proposito alla circostanza più nota ed eclatante, ossia alla costante indisponibilità di Hitler ad informare l’alleato Mussolini (che pure ammirava al limite dell’innamoramento) delle date d’inizio delle proprie offensive militari, mettendolo bellamente di fronte al fatto compiuto. Prescindendo da questa generica e diffusa sfiducia, si può presumere che il De Courten abbia allarmato gli ufficiali inglesi interessati allo sbarco, a cominciare dall’ammiraglio Morgan, per una certa sua disinvoltura nel convocare riunioni sull’argomento (cfr. www.italia-rsi.org/confiniorientali/decourten.htm). D’altra parte è anche vero che fra Brindisi, Lecce, Taranto e Bari (sedi dei diversi ministeri) mantenere un segreto risultava praticamente impossibile: troppi erano i gruppi e le fazioni uniti solo dall’esigenza di combattere il comune nemico, nei fatti divisi da ostilità ideologica od anche soltanto da rivalità di casta e personale. C’era il precario governo italiano del sud sostenuto da partiti già ab ovo impegnati nella reciproca dialettica (uno dei quali era il porta-parola dell’Unione sovietica, alla quale verosimilmente comunicava ogni notizia sensibile). C’erano i comandi militari italiani ed alleati, le truppe, i servizi segreti, la Corona con il suo piccolo stuolo di funzionari e famigli, varie formazioni armate di volontari italiani esistenti a livello più o meno embrionale. In particolare gli ambienti militari erano sottoposti a sollecitazioni contrapposte. Se, infatti, vi era chi cercava di radunarvi volontari per il colpo di mano nel nord-est in funzione anticomunista, il PCI vi svolgeva attività di propaganda, e reclutava militi che poi venivano inviati in Jugoslavia tra le truppe titine (da un rapporto di un esponente dei servizi segreti americani a Bari, citato da Lucio Toth nell’opuscolo “Perché le foibe” allegato al n. 2/2006 del mensile “Difesa adriatica”, pag. 14).
Si può quindi ben immaginare l’intrico di spionaggio, doppiogiochismo e depistaggi che originava da questa situazione.
Se la spiegazione è questa, a un certo punto devono essere stati i comandi alleati – o almeno i settori di essi coinvolti nell’operazione – a far mancare il loro appoggio. D’altra parte è anche lecito chiedersi quanto il De Courten credesse davvero nel piano che (almeno al Nord) portava il suo stesso nome, come pure quanto ci credesse Cigala Fulgosi ed altri ufficiali loro vicini. Certe faticosità burocratiche (chiamiamole così) manifestatesi nella loro azione suscitano sul punto più che delle perplessità.
Ma è possibile dare dell’accaduto – anzi, del mancato accaduto – un’altra spiegazione. Quest’ultima non esclude la precedente, piuttosto si giustappone ad essa.
(III – continua)

Alfonso Indelicato

Edited by Alfonso Indelicato - 22/1/2012, 17:26

Tags:
spionaggio,
SS
 
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